Titolo: Modernità e ambivalenza
Autore: Zygmunt Bauman
Editore: Bollati Boringhieri
Anno di pubblicazione: 2010
Dettagli: p.350
“Ogni volta che diamo un nome a qualcosa, dividiamo il mondo in due: da un lato le entità che rispondono a quel nome; dall'altro tutte quelle che non lo fanno”. Dare un nome equivale dunque a cercare di ordinare, classificare, archiviare, controllare: null'altro ha fatto la modernità, se non coltivare il progetto di imprimere un ordine artificiale al mondo, per contrastare l'ambivalente, l'oscuro, l'indistinto o l'indefinibile, di cui percepiva la minaccia. Compito votato al fallimento, secondo Bauman, perché è l'ambivalenza, e non l'univocità, la condizione normale del linguaggio. Se si ammette soltanto l'alternativa rigida tra l'ordine e il caos, ci si condanna a essere inadeguati, aprendo la strada all'intolleranza. Ma l'ambivalenza può anche costituire una trappola. Accadde, tra Otto e Novecento, con il percorso di integrazione degli ebrei di lingua tedesca, ossia con la loro fuoriuscita sociale e culturale dal ghetto; la modernizzazione estirpò stili di vita, parlate, costumi, e produsse la categoria ambivalente degli ebrei assimilati, estranei sia alla comunità di provenienza sia alle élite nazionali. Tra rischi e rivincite, l'ambivalenza attraversa gli ultimi due secoli e invade la postmodernità. Dobbiamo imparare a convivere con questo scandalo della ragione.
Nessun commento:
Posta un commento